L'apparato critico del Padre Nostro

Analisi delle lezioni della preghiera più conosciuta in occidente, ad opera di Frater SRH

In questo articolo si tratterà del cosiddetto apparato critico letterario, cioè di quell’insieme di varianti disponibili, collazionando più fonti storiche di quel passo. Con un esempio si capisce meglio! Per questo motivo si tratteranno le diverse varianti della preghiera insegnata dal maestro nazareno e già trattata su questo blog. La scelta di utilizzare il contenuto oggetto di un’indagine già eseguita in queste pagine, risiede nell’importanza dell’oggetto stesso. Infatti, il padre nostro è la preghiera più conosciuta del cristianesimo, proprio perché presente nel nuovo testamento e per il fatto di essere l’unica insegnata direttamente dal fondatore. Questi due fattori rendono i versetti che andremo ad analizzare, dal punto di vista critico letterario, fra i più significativi del testo sacro per la religione fondata dal betlemita. Tuttavia è particolarmente sorprendente scoprire che, la maggior parte dei recitanti i versetti mattiani, non abbia idea che la preghiera in questione ci è pervenuta in diverse edizioni. Di seguito il padre nostro in greco con l’apparato critico della Nestel-Aland 28° edizione:


Padre nostro Matteo 6:9b-13 versetti in greco tratti dalla Nestle-Aland 28° edizione
9 Οὕτως οὖν προσεύχεσθε ὑμεῖς· Πάτερ ἡμῶν ὁ ἐν ⸂τοῖς οὐρανοῖς⸃· ἁγιασθήτω τὸ ὄνομά σου·
10 ἐλθέτω ἡ βασιλεία σου· γενηθήτω τὸ θέλημά σου, °ὡς ἐν οὐρανῷ καὶ ἐπὶ ⸆γῆς·
11 τὸν ἄρτον ἡμῶν τὸν ἐπιούσιον δὸς ἡμῖν σήμερον·
12 καὶ ἄφες ἡμῖν ⸂τὰ ὀφειλήματα⸃ἡμῶν, ὡς καὶ ἡμεῖς ⸀ἀφήκαμεν τοῖς ὀφειλέταις ἡμῶν·
13 καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν, ἀλλὰ ῥῦσαι ἡμᾶς ἀπὸ τοῦ πονηροῦ. ⸆



Padre nostro apparato critico tratto dalla Nestle-Aland 28° edizione
• 9 ⸂τω ουρανω mae; Didache
• 10 ° D✱a b c k bomss; Tert Cyp |⸆της D K L Θ ƒ13 565. 579. 700. 892. 1241. 1424. ℓ 844. ℓ 2211 𝔐¦ txt ℵB W Z Δ ƒ1
• 12 ⸂την οφειλην Didache ¦ τα παραπτωματα Or |⸀αφιομεν D L W Δ Θ 565 co? ¦ αφιεμεν ℵ2 K ƒ13 579. 700. 1241. 1424. ℓ 844. ℓ 2211 𝔐co?; Didache ¦ txt ℵ✱B Z ƒ1 vgst syp.h
• 13 ⸆αμην 17. 30. 288✱vgcl ¦ οτι σου εστιν η βασιλεια και η δυναμις και η δοξα εις τους αιωνας αμην K L W Δ Θ ƒ13 33. 288c. 565. 579. 700. 892. 1241. 1424. ℓ 844 𝔐f q syh bopt (g1 k syc.p sa) ¦ οτι σου εστιν η δυναμις και η δοξα εις τους αιωνας Didache ¦ οτι σου εστιν η βασιλεια του πατρος και του υιου και του αγιου πνευματος εις τους αιωνας αμην 1253 ¦ txt ℵB D Z 0170 ƒ1 ℓ 2211 lat mae bopt; Or



In questo preciso caso, a noi non interessa tradurre il testo del versetto, ma comprendere tutta quella serie di simboli e numeri presenti, con possibilità di capire come può variare la preghiera applicando le varie lezioni disponibili. Per fare ciò prenderemo versetto per versetto e applicheremo le possibilità indicate dall’apparato critico, spiegando nel contempo i significati dello stesso. Iniziamo! I simboli da cercare, nei versetti del padre nostro, sono questi e a fianco il significato:
  • ⸂ ⸃ Le parole tra questi segni sono sostituite con altre parole dai testimoni citati. Spesso questo comporta la trasposizione delle parole. Nella misura in cui le parole sono identiche a quelle del testo, sono indicate con numeri in corsivo corrispondenti alla loro posizione nel testo stampato
  • ° La parola che segue nel testo è omessa dai testimoni citati.
  • ⸆ Questo segno indica il luogo in cui una o più parole, a volte un intero verso, sono inserite dai testimoni citati.


Partendo con l’analisi dei versetti si vede subito che il primo a presentare dei simboli è il versetto numero 9:
  • 6:9 Πάτερ ἡμῶν ὁ ἐν ⸂ τοῖς οὐρανοῖς ⸃· ἁγιασθήτω τὸ ὄνομά σου·
  • 6:9 Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome


Ciò che alcuni testi modificano è nei cieli (tois ouranois) sostituendolo con τω ουρανω (to auranō): potente. Quindi un padre un po’ diverso. Tale lezione è sostenuta dai documenti mae (Middle Egyptian) e Didache (una pergamena circa del 100 D. c. qui il link a wikipedia.: Didaché). Sappiate che nell’attendibilità delle fonti, questa è una piuttosto valida visto la sua datazione prossima agli eventi, ma in questo caso non considerata buona! Proseguiamo!

Le seconde variazioni si incontrano nel versetto successivo:
  • 6:10 ἐλθέτω ἡ βασιλεία σου· γενηθήτω τὸ θέλημά σου, °ὡς ἐν οὐρανῷ καὶ ἐπὶ γῆς·
  • 6:10 venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra


Per comprendere la prima lezione diversa: °ὡς che, stando al significato dei simboli, vorrebbe dire mancare in alcuni manoscritti, dobbiamo tradurre il versetto in greco secondo la sua forma scritta:
  • Venga il regno tuo fatto il desiderio tuo in cielo e in terra


Gli scritti che sostengono la lezione in cui manca la parola “come” (hos) sono i seguenti: D✱ a b c k bomss; Tert Cyp. Scritti tradivi (V secolo D. c. e successivi). Sicuramente questa lezione è molto imperativa!

L’altra lezione è l’introduzione della seguente parola της (tēs) dove c’è il simbolo . Con l’aggiunta di questa parola la frase finirebbe più o meno così: in cielo e sulla terra. Questa lezione è sostenuta dai seguenti scritti: D K L Θ ƒ13 565. 579. 700. 892. 1241. 1424. ℓ 844. ℓ 2211 𝔐. Il manoscritto D che sostiene entrambe le lezioni è del V secolo D. c. e sicuramente è più tardo del manoscritto principale che sostiene la versione usta per il testo che noi conosciamo: ℵ B W Z Δ ƒ1. Chi ha letto gli articoli sulle beatitudini ha già trovato questo simbolo ℵ, cioè il codice Sinaitico o Codex Sinaiticus. Sicuramente fonte molto autorevole visto la sua datazione introno al 300 D. c. Come si evidenziava nell’ultimo articolo delle beatitudini appena pubblicato, lezioni riportate su questo manoscritto sono da preferire ad altre. In questi versetti è stato fatto! Nel passo dell’incontro tra Gesù e Pietro, descritto sempre da Matteo, no! (nuovamente, leggere l’articolo quattro delle beatitudini per maggiori approfondimenti - su questo blog non presente). Ma ora si continua sulle altre varianti disponibili.

Il prossimo versetto oggetto di due lezioni differenti è il 12, qui riportato:
  • 6:12 καὶ ἄφες ἡμῖν ⸂ τὰ ὀφειλήματα ⸃ ἡμῶν, ὡς καὶ ἡμεῖς ⸀ ἀφήκαμεντοῖς ὀφειλέταις ἡμῶν·
  • 6:12 e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,


Così come fatto per gli altri, si prosegue con l’evidenziare in giallo le parti oggetto di varianti differenti. Nello specifico le lezioni riguardano i lemmi τὰ ὀφειλήματα (ta opheilēmata): i debiti. Per questa particolare situazione abbiamo addirittura due varianti differenti:
  • την οφειλην (tēn opheilēn) proposta dalla Didaché (100 D. c. circa)
  • τα παραπτωματα (ta paraptōmata) proposta da Origine, padre della chiesa, e vissuto tra la fine del 100 d. C. e l’inizio del 200 d. C.


La prima lezione presentata significa: il debito (con valenza contrattuale, quindi sicuramente riconducibile a quanto si è analizzato nel precedente articolo riguardante il Padre Nostro e il portare nella prova). In realtà anche la lezione scelta per il testo, attestata dal solito codice ℵ (che ormai abbiamo imparato a conoscere) e a noi pervenuta come quella ufficiale, vuol dire debiti in senso reale. La differenza di scelta, in questo caso dove un codice del 100 D. c. perde contro un codice del 300 D. c., sta nel fatto che usare il singolare al posto del plurale, farebbe crollare l’idea di peccati. Infatti, usare la lezione: togli il nostro debito, renderebbe meno spiegabile il concetto di pluralità di azioni non conformi. Pensateci: tolto il debito, basta si è a posto. Inoltre, l’uso del singolare porrebbe le persone molto più semplicemente nell’interrogativo: quale? Togliere i debiti, soprattutto se fatti passare come peccati senza valenza contrattuale, risulta più oppressivo e continuativo. Innanzi tutto, costringe a chiedersi quanti sono, posizionando la psiche in un contesto di minoranza; insomma il plurale lascia ampi spazi di manovra a chi su questa preghiera ha costruito certa teologia della confessione.

Tralasciando ulteriori approfondimenti, torniamo alla nostra analisi delle versioni del testo fino ad oggi disponibili, proseguendo con l’altra lezione presente sempre in questo versetto: ἀφήκαμεν (aphēkamen), tradotto rimettere. In questo caso la critica ci fornisce l’informazione che abbiamo un altro set di parole al posto di questa, precisamente:
  • αφιομεν (aphiomen) secondo i seguenti documenti D L W Δ Θ 565 co?
  • αφιεμεν (aphiemen) attestato da ℵ2 K ƒ13 579. 700. 1241. 1424. ℓ 844. ℓ 2211 𝔐co?; Didache


concludiamo queste ulteriori due lezioni, con il dire che il testo da noi conosciuto e utilizzato come preghiera, è attestato dai seguenti scritti: ℵ✱ B Z ƒ1 vgst syp.h. Ormai è chiaro che ℵ lo si trova spesso a sostegno delle scelte fatte. Come al solito ci troviamo di fronte a due fonti attendibili: il codice Sinaitico, scelto ancora una volta come fonte autorevole anche per questo passo, e Didache, che attesta la seconda lezione sopra vista. Due fonti storiche che in sostanza non cambiano il verbo: rimettere, ma il tempo verbale. In effetti tutte e tre le lezioni riguardanti il verbo rimettere riguardano solo l’uso differente del tempo del verbo. Infatti, i tre lemmi oggetto di analisi della seconda parte del versetto 12 (ἀφήκαμεν (aphēkamen), αφιομεν (aphiomen) e αφιεμεν (aphiemen)) derivano dal verbo greco ἀφίημι (ephiémi), che vuol dire genericamente mandare via. Quindi non è l’azione messa in discussione, ma il tempo in cui questa avviene. Lasciando perdere la prima lezione accredita in scritti molto tardivi (dal V secolo D. c. in poi), le due lezioni a noi utili sono quella oggi utilizzata per la versione corrente del padre nostro, ἀφήκαμεν (aphēkamen) e αφιεμεν (aphiemen). Cosa cambia tra i due tempi? Che il primo è un aoristo, un tempo senza tempo. Rappresenta l’azione eseguita costantemente nel tempo. Un’azione che si protrae nella storia in ogni istante del susseguirsi della linea del tempo. Mentre il secondo tempo, proposto, è un tempo indicativo presente, cioè l’azione è avvenuta e si è conclusa nel momento in cui il nazareno ha pronunciato quelle parole. Potete già immaginare come mai qui uno scritto del 300 D. c. batte, ancora una volta, uno del 100. Semplicemente cadrebbe molta teologia della salvezza. Per noi italiani cambierebbe poco, a livello di traduzione noi il tempo aoristo non l’abbiamo, per cui tradurremmo entrambi in modo indicativo, ma a livello di analisi dell’azione, hanno due valenze differenti. Ovviamente a noi qui non interessa capire se gli esegeti della Nestle-Alnd 28° edizione, che hanno scelto la versione del codice Sinaitico, siano nel giusto o no. Questa indagine esula da questo semplice e veloce articolo. Indubbiamente è ora chiaro che anche il così detto testo sacro è in realtà frutto di scelte a tavolino fatte da persone che posso decidere quale messaggio veicolare, semplicemente scegliendo un tempo verbale, piuttosto che un altro.

Arriviamo così all’ultimo versetto. Il versetto 13 non propone modificazioni, ma solo un aggiunta che nel testo oggi adottato non è stata inserita:
  • 6:13 καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν, ἀλλὰ ῥῦσαι ἡμᾶς ἀπὸ τοῦ πονηροῦ.
  • 6:13 e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.


Per chi ha letto l’articolo antecedente a questo, ormai è chiaro che il versetto finale di questa preghiera non è tradotto correttamente. Ma a noi interessa quel simbolo infondo al versetto, evidenziato in giallo. Quel segno significa che vi sono delle parti del testo da aggiungere proprio lì e queste parti sono le seguenti:
  • αμην (amēn), attestato dai seguenti documenti 17. 30. 288✱vgcl
  • οτι σου εστιν η βασιλεια και η δυναμις και η δοξα εις τους αιωνας αμην, attesato dai seguenti documenti K L W Δ Θ ƒ13 33. 288c. 565. 579. 700. 892. 1241. 1424. ℓ 844 𝔐f q syh bopt (g1 k syc.p Sto arrivando!)
  • οτι σου εστιν η δυναμις και η δοξα εις τους αιωνας, attestato dal Didache
  • οτι σου εστιν η βασιλεια του πατρος και του υιου και του αγιου πνευματος εις τους αιωνας αμην, attestato dal papiro 1253 del XV secolo


mentre il testo da noi conosciuto e che finisce nel punto riportato nel versetto 13, è presente nei seguenti documenti: ℵB D Z 0170 ƒ1 ℓ 2211 lat mae bopt; Or.

Ovviamente è sempre lui (ℵ) a guidare la scelta di quale sia il testo da tenere buono, il codice Sinaitico! Ma a noi interessa capire cosa significano le frasi delle varianti sopra riportate, perché a parte l’amen della prima possibile variante, le altre lezioni hanno la lunghezza quasi di un versetto. La seconda variante riportata nei bullet sopra, significa:
  • perché tuo è il regno e la potenza e la gloria nei secoli amen.


La Didache, cioè la terza possibilità a nostra disposizione sopra esposta, è una formula più breve:
  • perché tua è la potenza e la gloria nei secoli.


L’ultima opzione a nostra disposizione, molto tardiva e quindi molto probabilmente rimaneggiata, dice:
  • perché tuo è il regno del padre e del figlio e dello spirito santo nei secoli, amen.


È evidente che quest’ultima risente di quasi mille anni di teologia trinitaria. Ciò dovrebbe far riflettere sul fatto che le versioni a nostra disposizione, comunque, rappresentano varianti a loro volta rimaneggiate. Il versetto 13 è un chiaro esempio di come nel testo del 100 D. c., abbia un finale, nel testo del 300 D. c., quello accettato come valido, ne abbia un altro, o meglio non l’abbia. Poi ritorna ad esserci in una versione che la chiesa di Roma usa ancora nelle sue funzioni (oggi nella fora “perché tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli”). Infine, abbiamo, in uno scritto del basso medio evo, un finale in cui la formula viene palesemente forzata in direzione della trinità, al fine di dargli una giustificazione da parte di Gesù (infatti è veramente difficile trovare la teologia della trinità nel nuovo testamento).

Tutto ciò dovrebbe aver portato all’intelletto la grande domanda: ma chi sceglie la lezione migliore? Perché anche se in alcuni casi si tratta di tempi verbali, o numerosità della parola (singolare/plurale), questi hanno profondi impatti sul significato del versetto, modificandone le valenze interpretative. Tornando alla domanda, la scelta di una lezione è in fin dei conti opera dell’uomo. Ci sono le regole per cui un testo più vecchio è da considerare maggiormente attendibile di un testo più recente, e/o un versetto più corto è da preferirsi a uno più lungo, ecc. Ma tutte queste regole saltano quando ci si imbatte in problemi teologici o di dottrina.

Attenzione, qui non si vuole confutare l’attuale testo utilizzato dal cristianesimo. Ognuno è libero di credere in quello che reputa più utile per sé stesso e la propria felicità, come è significativo conoscere la modalità di formazione del testo sacro, che in realtà è frutto di un lavoro nascosto di studiosi, i quali prendono pezzi di carta vecchi millenni e li confrontano fra loro, con la speranza di ricavare il testo più simile all’originale, che non si ha. Questa omissione d'informazione è il vero crimine contro l’intelletto dell’essere umano. Nessun uomo di chiesa dice ciò ai propri fedeli, nessuno che ricordi che un passo è frutto di scelte da parte di soggetti che hanno deciso una versione, piuttosto che l’altra. Questa onestà fornirebbe maggior credibilità alla scelta di fede, perché così si permetterebbe di far scegliere alla persona in modo consapevolmente, non perché ingannato. Rileggete questo articolo e notate quante sigle di documenti abbiamo dovuto tirare in ballo per attestare le varie lezioni disponibili, trattando solo una piccola porzione del testo mattiano, anche se tra le più rappresentative e conosciute. Immaginate per tutti e quattro i vangeli cosa ci può essere.

Ci si augura che possiate, da ora, leggere questo libro con un po’ più di consapevolezza e con l’idea che ogni parola che trovate, potrebbe avere versioni differenti con sfumature raccontanti una storia alternativa.